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TAVOLO 1.D. "Forme di vita al di là del mercato"

(sottogruppo sulla Rete-stralci di dibattito)

-Il coordinamento locale è condizione previa della rete? E la statale? E la continentale? O la globalizzazione ispira un desiderio di coordinazione al di là del limite di azione particolare di ogni collettivo?

-I luoghi del confitto e i comandi sono trasnazionali, il gioco della confrontazione, la dialettica, è una gioco a somma zero. La possibile autonomia di queste reti possibili passa dal non cercare la centralità dello stato come referente e sì dal crescere in modo indipendente, sulla base di proprie azioni autonome (senza cercare uno specchio nell'efficacia dei colpi inferti allo stato). -Una rete di lotte planetarie non passerebbe tanto dalla ricerca di obiettivi da sconfiggere ma per cartografare i processi di autonomia e contropotere, per restringere i limiti imposti dallo stato diventato uno schermo vuoto che nasconde la produttività della cooperazione sociale e stabilire una macchina di lotte autonome da esso.

Lo zapatismo ci dice che nessuno si libera da solo.(...) Problemi di una rete di tanti gruppi differenti che vogliono lavorare insieme. Si potrebbe porre l'accento su un problema abituale della "retificazione": qual'è la relazione della rete con i suoi membri e viceversa? Non sono gli obiettivi quelli che dividono le reti, ma le relazioni di potere all'interno di esse. La rete pone in relazione tra di esse differenti logiche di organizzazione delle lotte e l'obiettivo è l'autonomia e non colpire il nemico, ma tentare di rifondare la democrazia, una democrazia radicale, assoluta, non trascendente nel senso che non c'è nessun obiettivo oltre a quello della rete: solo la produzione di differenze, di vita. Si tratterebe di rapportare radicalmente comunicazione e democrazia, che siano la stessa cosa, indistinguibili e questo implica una critica alla rappresentazione politica.

-Un compagno fa una breve storia del modello "coordinamento" che è tanto proliferato nello Stato spagnolo e anche in Europa negli anni ottanta e che dura ancora, anche se reciclato con altri termini, incluso quello di "rete". Espone come detti artefatti si costituiscano in funzione e in relazione di simmetria con certe politiche statali. Campagne anti NATO, antinucleari, ecc. e quanto più grande era la loro dipendenza rispetto alle politiche dello stato tanto maggiore è stata la catastrofe dopo ogni sconfitta. Ogni nuovo tentativo coordinamento si è basato sullo stesso modello "campagnista" a termine (una data, un'azione del governo, un vertice di statisti.(...) Si esprime il desiderio di oltrpassare lo specchio e fondare un'altro tipo di coordinamento non basato su questo modello simmetrico e dipendente dallo stato.(...).

-Il tipo di struttura o la forma che assume la lotta, l'obiettivo, il senso dell'efficacia, i vecchi modi di fare politica, la vecchia cultura politica, sono questi gli elementi che determinano la validità o meno dei processi di costituzione dei coordinamenti o delle reti? Bisogna aspettare le organizzazioni ufficiali/tradizionali di lotta per attraversarle con contenuti e proposte antagoniste? Le lotte molto strutturate (ad esempio quelle organizzate attorno ai piccoli partiti comunisti) hanno una forma quasi automatica di coordinamento dovuta ad una chiarezza sul nemico selezionato a partire da una supposta analisi scientifica che semplifica enormemente il lavoro: esiste un accordo in quanto ai termini utilizzati (capitalismo senza sfumature del tipo "neoliberismo", per questo immaginario la forma del capitalismo rimane inalterata); qualcosa che noi non siamo riusciti a definire. (...)Il tema del potere è sempre presente nel discorso zapatista e non permette di pianificare il tipo di società che vogliamo, l'obiettivo prevedibile. I partiti comunisti hanno avuto per un certo periodo un grande potere di mobilitazione perché le parole d'ordine non cambiavano e si offrivano come dogmi. Lo zapatismo definisce più quello che non vuole che quello che vuole (senza comunque tralasciare questo aspetto), invitando a creare spazi di libertà senza potere, senza voler definire completamente come essi dovrebbero essere.

-Difficile affrontare la questione dei partiti politici tradizionali senza affrontare, a parte l'efficacia delle lotte, anche la questione della perdita della centralità del lavoro, la questione del postfordismo e della postmodernità. La forma partito è archeologica (se ha avuto una validità, è stata solo applicabile alla classi operaie industriali occidentali). Non si tratta di trovare un termine medio. Bisogna assumere il paradosso, il rompicapo. La nozione di classe operaia è esplosa. Naturalmente la figura dell'operaio in fabbrica continua ad esistere, però non è l'unica. La proletarizzazione è la condizione comune delle singolarità sociali. È possibile trovare parole, linee non dogmatiche ma che permettano di riunire tanta gente per lottare? -La frantumazione della classe operaia è un concetto solo occidentale? C'è stato un radicale peggioramento anche per i contadini senza terra in America Latina. La globalizzazione produce espropri radicali, distruggendo forme di vita tradizionali, creando una proletarizzazione.

-Si è parlato di fordismo periferico. Si è creata una classe operaia periferica non relazionata, come caratteristiche, al fordismo tradizionale. (...) Si tratta di considerare l'economia-mondo e non le sue realizzazioni concrete in ogni luogo. La mondializzazione non è omoloagazione di tutti i processi produttivi, ma la loro integrazione sotto un unico dominio. Non c'è un'esportazione dal centro verso la periferia del processo di crisi, un'omologazione della crisi del postfordismo che la rende comune in ogni luogo, in ogni territorio di lotta, ma una generalizzazione delle risposte scelte a questa crisi da chi domina questo processo. La mondializzazione deve venire considerata anche dal punto di vista della costituzione autonoma delle lotte. In questo contesto rientra la creazione di una rete: si tratta di scoprire nuove forme nel politico che affrontino la globalizzazione, nella coscienza delle differenze locali ed anche alimentandosi di esse. La scomparsa delle vecchie forme della sinistra in questo senso non rappresenta un problema ma uno stimolo(...).


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