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ORGANIZZAZIONE REGIONALE DEGLI SCAMBI

Come già accennato, uno dei fenomeni che più distintamente hanno caratterizzato le dinamiche di sviluppo economico mondiale nel 1994 è stato il rilancio del commercio internazionale. Anzi, proprio la crescita del flusso di scambi commerciali sembra essere il motore propulsivo della ripresa. D'altronde questo rilancio è tanto la conseguenza quanto la causa dell'organizzazione in aree regionali di libero scambio di un gran numero di paesi: la chiara percezione dell'importanza dell'integrazione commerciale nel favorire l'allargamento delle prospettive di competitività delle economie nazionali ha prodotto nello scorso anno un fiorire di iniziative regionali, tese a favorire la costituzione e la rivitalizzazione di aree economiche integrate, unioni commerciali, unioni doganali e accordi di libero scambio tra paesi contigui e affini per cultura o per grado di sviluppo economico.

Tab. 2 - LE AREE DI LIBERO SCAMBIO

NAFTA - North American Free Trade Agreement
Stati Uniti, Canada, Messico
Candidato :Cile

MERCOSUR - Mercado Comun do Cono Sud
Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay
Candidato :Cile

G3 Gruppo dei Tre
Messico, Colombia, Venezuela

Patto Andino
Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela

CACM Mercato Comune Centro Americano
Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama

CARICOM - Comunità e Mercato Comune dei Caraibi
Antigua e Barbuda, Bahama, Barbados, Belize, Dominica, Giamaica, Grenada, Guyana, Montserrat, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Trinidad e Tobago

ASEAN - Association of South East Asian Nations
Brunei, Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia

APEC - Asia-Pacific Economic Cooperation
Australia, Brunei, Canada, Cile, Cina, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Hong Kong, Indonesia, Malaysia, Messico, Nuova Guinea, Singapore, Stati Uniti, Thailandia, Taiwan. In attesa: India, Vietnam, Russia.

UE - Unione Europea
Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia.

EFTA - European Free Trade Association
Islanda, Norvegia, Svizzera (fino al 31.12.1994 anche Austria, Finlandia, Svezia che fanno ora parte dell'UE)

Le aree di libero scambio sono oggi piuttosto numerose (tab. 2), e molto spesso esse si integrano vicendevolmente o si intersecano. Numerosi analisti prevedono che nel volgere di pochi decenni (o forse anche in tempi più brevi) la neonata Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) costituirà la struttura nella quale tutte queste organizzazioni si fonderanno. Lo stesso Direttore generale della OMC, del resto, ha sostenuto che questo proliferare di accordi particolari non costituisce un ostacolo al libero commercio, ma crea, anzi, le condizioni per ulteriori riforme che vadano in direzione della più ampia liberalizzazione degli scambi.

Salvo il presentarsi di nuove forme di protezionismo non tariffario (come l'applicazione di arbitrarie procedure "anti-dumping", di norme tecniche, ecologiche, sanitarie) questa dovrebbe effettivamente essere la futura linea di sviluppo per questi mercati.

Corollario importante di questo fermento, infatti, è proprio la decisione di far sorgere - finalmente - l'Organizzazione Mondiale del Commercio in sostituzione dell'Accordo generale sul commercio internazionale e le tariffe doganali, GATT. L'insediamento ufficiale di questa nuova organizzazione sovranazionale testimonia un nuovo ordine delle relazioni economico-politiche internazionali e i contrasti che hanno caratterizzato la nomina del primo direttore generale della OMC rivelano l'importanza della posta in gioco: la progressiva eliminazione di tutte le barriere alle attività economiche, il rafforzamento del processo di mondializzazione e l'affermazione di un mercato globale, nell'ambito del quale finiranno per essere selezionati specifici modelli produttivi, imprenditoriali e anche culturali.

La grossa questione riguarda proprio il criterio di scelta di tali modelli, per cui diviene evidente che la scelta del Direttore generale della OMC non sarà priva di conseguenze essendo la visione dello sviluppo che egli incarna determinante nell'orientare gli esiti del processo di integrazione commerciale.

UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development)

In questo panorama di rivitalizzazione degli scambi, la novità più importante è costituita dall'Apec, l'organizzazione che riunisce 18 Paesi del Pacifico. Nel 1994 questa organizzazione ha precisato meglio i propri scopi, e l'idea iniziale (legare le economie di questi Paesi in una logica di regionalismo aperto in modo da sfruttare meglio le potenzialità di crescita esistenti) è stata ampliata. Si è così deciso di creare un'area di libero scambio e d'investimento a partire dal 2010 per i Paesi più progrediti ed entro il 2020 per quelli in via di sviluppo.

L'importanza di questo organismo nel futuro del commercio mondiale è evidente se si considera che nel 1993 il PIL globale dei paesi membri ha superato i 12mila miliardi di dollari (circa metà di quello mondiale), che tali paesi controllano già oggi il 41% del commercio internazionale e hanno una popolazione di 2,2 miliardi di persone, che i Pvs di quest'area vantano tassi di crescita da un minimo del 5% fino a un massimo del 12-13% annuo.

Nelle dichiarazioni ufficiali, l'Apec sarà un area caratterizzata dalla massima libertà di circolazione per il commercio e gli investimenti. Non una roccaforte del protezionismo, dunque, ma un esempio di liberismo reale. È evidente, tuttavia, che i maggiori benefici derivanti dal conseguimento di tali obiettivi saranno goduti dai paesi membri.

Ciò costituisce una sfida per i paesi europei ai quali tocca quindi il difficile compito di replicare, per quanto possibile, questo percorso all'interno dell'Unione Europea. Nonostante l'Unione Europea si stia allargando verso i paesi ex socialisti dell'Europa centro-orientale e in direzione dell'Asia continentale, infatti, l'Asia orientale e l'America latina promettono di essere le aree più dinamiche del ventunesimo secolo indipendentemente dalla velocità con la quale l'Europa saprà far procedere il proprio processo di integrazione.

L'Apec, tuttavia, è solo apparentemente un fenomeno spontaneo e costituisce semmai il cardine delle ambizioni statunitensi per il prossimo secolo almeno.

Gli Stati Uniti puntano infatti decisamente all'eliminazione delle barriere protezionistiche, e per realizzare i loro progetti di regionalizzare le attività commerciali ed egemonizzare economicamente tutto il continente americano e, più in generale, l'area del Pacifico - attivati sin dalla presidenza Reagan - da un lato investono nell'Apec, dall'altro lavorano assiduamente all'obiettivo di far confluire nel Nafta il Mercosur, il Gruppo dei Tre e il Patto Andino, così da configurare un vasto mercato integrato panamericano o, in altre parole, un grande mercato di sbocco per l'industria statunitense.

Gli Stati Uniti stanno inoltre cercando di convincere l'Unione Europea a negoziare un accordo simile a quello che ha rivitalizzato l'Apec, con il proposito di dar vita ad un area di libero scambio con l'Unione Europea o, perlomeno, ad un ferreo accordo bilaterale. Tale progetto, che è ancora ad uno stadio embrionale, incontra tuttavia la netta opposizione della OMC, in quanto potenzialmente orientato ad egemonizzare tutto il commercio mondiale, e capace di costituire un serio ostacolo al processo di liberalizzazione generale degli scambi e al miglioramento delle prospettive di crescita per i paesi meno sviluppati.

L'obiettivo di tutti questi sforzi diplomatico-commerciali è abbastanza evidente in quanto il loro successo consacrerebbe gli Stati Uniti come la prima potenza economica mondiale e consentirebbe loro di mantenere un ruolo di primo piano anche per il futuro, quando le nuove potenze economiche (asiatiche) avranno definitivamente conquistato la ribalta.

L'Apec risulta quindi essere - oltre che un importante accordo commerciale - l'espressione più evidente della nuova tendenza mondiale a fondare l'ordine e gli equilibri globali sulla forza economica anzichè su quella militare e ad utlizzare i livelli di consumo e produzione come armi strategiche atte ad influire sul destino e sulle scelte politiche di un Paese. Decidere di non appartenere al gruppo di paesi che può concedersi alti tassi di crescita può infatti rivelarsi molto costoso in termini di consenso elettorale e - pertanto - rende di fatto impraticabili percorsi di sviluppo che siano contemporaneamente democratici e alternativi a quello prevalente.

Questa tendenza all'egemonizzazione dei modelli economici e culturali, tuttavia, va anche molto al di là delle esplicite intenzioni di un Paese come gli Stati Uniti. La "politica estera" delle imprese, infatti, si rivela oggi molto più efficace di quella dei governi, e conferma il loro ruolo di agenti istituzionali in grado di esercitare sulle istituzioni politiche un'influenza che ne condiziona tanto le strategie d'azione quanto le modalità di intervento. Prova ne è, per esempio, l'infuenza moralizzante esercitata su governi e istituzioni dai mercati finanziari i quali, in un contesto di mobilità internazionale dei capitali ormai perfetta, puniscono chi non si conformi alla più rigida ortodossia dei bilanci rigorosi e in pareggio.

Va precisato d'altro canto - e a conferma della rilevanza assunta dall'economia finanziaria nei confronti di quella reale, accennata nel paragrafo precedente - che un'effetto collaterale e indesiderato del timore delle sanzioni dei mercati può essere quello di contrastare i processi di integrazione e di liberalizzazione degli scambi. Ciò che sta attualmente accadendo a Brasile e Argentina, i quali nel timore di veder replicata la fuga dei capitali stranieri e il disastroso deprezzamento della moneta che colpiscono il Messico, hanno deciso di rallentare notevolmente il processo di integrazione all'interno del Mercosur.

Coordinamento Azione Globale dei Popoli

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